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La rilevazione in contabilità del credito d’imposta legato al registratore telematico

da Barbarossa / domenica, 12 Aprile 2020 / Pubblicato il News

Il credito d’imposta per l’acquisto o l’adattamento del registratore di cassa telematico è assimilabile ad un contributo in conto impianti.

In che modo va contabilizzato il credito d’imposta riconosciuto a fronte dell’acquisto o adattamento del registratore di cassa telematico? E’ questo il tema su cui faremo chiarezza in questo articolo. Si tratta del beneficio previsto dall’art. 2, comma 6-quinquies, del D.lgs. n. 127 del 2015 riconosciuto a quei contribuenti che nel 2019 e 2020 hanno sostenuto o sostengono la spesa per l’acquisto o adattamento del registratore di cassa necessario ad assolvere l’obbligo di memorizzazione o trasmissione telematica dei corrispettivi giornalieri. Il credito spetta, a condizione che il pagamento dell’onere sia fatto con strumenti tracciabili (bonifico, assegno, ecc.), nella misura del 50% della spesa, per una massimo di credito riconoscibile, per ogni strumento, di 250 euro in caso di acquisto e 50 euro in caso di adattamento. L’utilizzo può avvenire esclusivamente in compensazione in F24 (codice tributo “6899”) e le modalità applicative e gli opportuni chiarimenti sono rinvenibili nella Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 3/E del 21 febbraio scorso.

Il criterio di contabilizzazione

Dal punto di vista contabile, i contributi concessi specificamente in relazione all’acquisto di beni ammortizzabili (qual è un registratore di cassa) non generano né sopravvenienze attive né ricavi bensì rilevano in diminuzione del costo fiscalmente riconosciuto del cespite cui afferiscono. Essi si qualificano come contributi in conto impianti tassabili (non hanno autonoma rilevanza fiscale ma devono essere ripartiti in base alla vita utile del bene per il quale sono stati concessi – Risoluzione n. 2/E del 2010).

In termini pratici ciò può essere raggiunto, secondo quanto indicato dal principio contabile OIC 16, con due metodi alternativi: imputando il contributo percepito a riduzione diretta del cespite (c.d. metodo diretto) ovvero oppure con la tecnica dei risconti passivi mediante imputazione graduale a conto economico pari alla stessa misura adottata per gli ammortamenti del cespite agevolato (c.d. metodo indiretto).

Con il primo metodo di contabilizzazione, il contributo partecipa alla formazione dell’utile attraverso le minori quote di ammortamento calcolate sul costo di acquisto del cespite al netto dei contributi; con il secondo metodo, il contributo, imputato a conto economico tra gli “Altri ricavi e proventi” (voce A5) per l’intero ammontare riconosciuto, viene rinviato per competenza agli esercizi successivi attraverso l’iscrizione in bilancio di risconti passivi. Pertanto, i maggiori ammortamenti, calcolati sul costo lordo del cespite, vengono “compensati” dalle rispettive quote di contributo di competenza di ciascun esercizio.

Occorre, tuttavia, avanzare un’osservazione laddove ci si trovi di fronte a cespiti con costo di acquisizione inferiore a 516,46 euro, per i quali il legislatore ammette la possibilità di deduzione dell’intero costo nell’esercizio in cui la spesa è stata sostenuta, venendo meno, quindi, il discorso dell’ammortamento. In tal caso, dunque, il metodo da utilizzare è quello in base al quale il contributo viene portato a diretta riduzione del valore del cespite stesso. Un discorso, diverso, invece è per i contribuenti forfettari, i quali come ben noto non deducono costi inerenti l’attività salvo i contributi previdenziali ed assistenziali assolti per disposizioni legislative ed anche per i contribuenti di vantaggio i quali deducono i costi sempre in base al principio di cassa (questi deduce, pertanto, il costo al netto del contributo).

fonte: www.investireoggi.it

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